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Coronavirus: cambia il modo di lavorare ma le misure straordinarie dimenticano il fisco

Premessa
In premessa è doveroso, per quanto non di nostra competenza, unirsi al coro di voci qualificate che invitano alla calma. Il Coronavirus è certamente un rischio serio per la salute, ma nella maggior parte dei casi gestibile. Quello che ora occorre comprendere, ed è di questo che in questa sede ci occuperemo, è come possa essere gestita l’emergenza scoppiata nelle ultime 72 ore da punto di vista organizzativo, economico e fiscale, ponendo come sempre lo sguardo su quella che – per usare un termine giornalistico – è la “cornice” della nostra testata: il mondo delle aziende e dei professionisti.
 
I provvedimenti d’emergenza disposti dal Consiglio dei Ministri
Primariamente occorre avere contezza di quelli che sono gli obblighi di portata generale scaturiti da quanto disposto dal Consiglio dei Ministri, riunitosi in sessione straordinaria sabato 22 febbraio, e confluiti poi in due provvedimenti legislativi, il D.L. 23 febbraio 2020, n. 6 e il D.P.C.M. 23 febbraio 202 0, pubblicati il 23 febbraio in Gazzetta Ufficiale e già in vigore. La riunione, durata parecchie ore, ha portato all’emanazione di alcune disposizioni di carattere assolutamente straordinario, disposizioni che, peraltro, altro non sono che linee di indirizzo utili all’emanazione di ulteriori provvedimenti da parte dei diversi ministeri interessati e delle autorità locali.
Lo scopo è quello di limitare il diffondersi dell’epidemia, ed in sintesi viene disposto che nelle aree nelle quali si verifichi una positività della quale non si conosce la fonte di trasmissione, o comunque un caso di contagio che non sia direttamente riconducibile ad un’infezione contratta in luogo già interessato dal contagio stesso, le autorità competenti sono tenute ad adottare ogni misura adeguata (e proporzionale) al fine di contenere la diffusione dell’epidemia.
In sintesi, ogni “nuovo” luogo colpito – inteso come ogni territorio nel quale venga scoperta la presenza di una persona contagiata, mentre in precedenza non risultavano casi – è potenzialmente soggetto a misure restrittive alla circolazione di mezzi e persone.
Diversi sono i divieti che possono essere imposti, a discrezione delle autorità locali ed in base all’evolversi della situazione:

  • “chiusura” dell’area a rischio, intesa come divieto di lasciare od accedere alle zone individuate. È il caso di numerosi comuni del Lodigiano, attuale epicentro dell’emergenza. La popolazione è tenuta a restare in casa, ed in alcun caso può abbandonare l’area, così come soggetti provenienti da fuori non possono accedere;
  • sospensione di eventi e manifestazioni, e di ogni altra forma di aggregazione. Questa misura serve ad evitare l’assembramento di più persone, circostanza che potrebbe agevolare il contagio. Rientrano in questa misura la sospensione di alcuni eventi sportivi del campionato di calcio, la sospensione di tutte le attività sportive disposte dalla FIP, Federazione Italiana Pallacanestro, nonché dalla Società italiana Volley, per citarne alcune. Secondo il medesimo criterio nelle zone nelle quali sono stati riscontrati i maggiori casi di soggetti infetti è stato disposto il divieto di riunione a fini culturali, religiosi, o a scopo ludico. In tal senso, ad esempio, la sospensione di tutti gli eventi legati al Carnevale di Venezia, così come è stata sospesa in alcuni luoghi l’apertura dei musei;
  • sospensione delle attività degli istituti scolastici, di ogni ordine e grado, compresi i servizi rivolti alla prima infanzia e le università. In tal senso, le Regioni Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte, Veneto e Trentino Alto Adige hanno intanto disposto la sospensione delle lezioni per tutta la settimana, ovvero fino a venerdì 28 febbraio 2020 incluso. Sul fronte scolastico, inoltre, è stato disposto la sospensione di ogni viaggio d’istruzione (gita), da e per qualunque destinazione nazionale ed estera;
  • quarantena con sorveglianza attiva a carico di tutti i soggetti entrati in contatto con pazienti infetti, e obbligo di comunicare al dipartimento di prevenzione sanitaria il rientro sul suolo nazionale da aree a rischio, al fine di predisporre la permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva. In sostanza, i soggetti che hanno avuto conclamati contatti con pazienti infetti sono obbligati alla quarantena, mentre coloro che rientrano in Italia da luoghi a rischio sono obbligati a comunicarlo e a non circolare sul territorio, restando quindi presso il loro domicilio al fine di consentire la verifica, con il trascorrere dei giorni, del loro stato di salute.

 
Le disposizioni d’emergenza: attività dei pubblici uffici, attività commerciali e lavorative
Dal breve (ed inquietante) quadro introduttivo sin qui visto, è di tutta evidenza che forte potrà essere l’impatto sul tessuto produttivo di tutte le zone interessate; moltissime persone, infatti, già in queste ore sono costrette presso il loro domicilio, e anche al di là di quelli che possono essere i divieti, inevitabilmente in tutte le Regioni interessate si sta diffondendo un grande timore, che induce a limitare il più possibile i contatti personali.
Veniamo ora a quelle che sono le disposizioni che maggiormente possono interessare il mondo professionale ed aziendale previste dal Governo:

  1. sospensione delle procedure concorsuali e delle attività degli uffici pubblici, fatta salva l’erogazione dei servizi essenziali e di pubblica utilità;
  2. chiusura di tutte le attività commerciali,ad esclusione di quelle di pubblica utilità e dei servizi pubblici essenziali, ivi compresi gli esercizi commerciali per l’acquisto dei beni di prima necessità; l’accesso può essere condizionato all’utilizzo di dispositivi di protezione;
  3. limitazioni al servizi di trasporto di merci e di persone;
  4. sospensione delle attività lavorative per le imprese, ad esclusione di quelle che erogano servizi essenziali e di pubblica utilità e di quelle che possono essere svolte in modalità domiciliare;
  5. sospensione o limitazione dello svolgimento delle attività lavorativenel comune o nell’area interessata, nonché delle attività lavorative degli abitanti di detti comuni o aree svolte al di fuori del comune o dall’area indicata, salvo specifiche deroghe, anche in ordine ai presupposti, ai limiti e alle modalità di svolgimento del lavoro agile.

A scanso di equivoci, chiariamo subito che queste sono misure che possono essere assunte, e che solo in talune aree delimitate sono state assunte, sta di fatto che si aprono una serie di problemi operativi di grande rilevanza, cui solo in parte è stata data risposta ed attenzione.
Innanzi tutto, quale che sia l’origine della limitazione (divieto di circolazione, divieto di abbandono del domicilio in quanto in area infetta, divieto di accesso all’impresa in quanto questa si trovi in area infetta), è evidente che molte sono le persone che non potranno recarsi al lavoro.
Ora, occorre comprendere come la questione sarà affrontata a livello di tutele sociali. Da più parti si annuncia la possibilità di concedere la cassa integrazione alle aziende colpite, e questo potrebbe risolvere qualche problema, ma quale possa essere la situazione del soggetto (che poi si riveli non ammalato) costretto ad assentarsi dal lavoro per settimane, è tutto da chiarire.
Anche perché, non dimentichiamo, se per un lavoratore dipendente potrebbe trattarsi eventualmente di permessi o ferie (forzose), un libero professionista o un lavoratore autonomo in genere potrebbe trovarsi senza tutela alcuna.
In tutto questo, l’unico aspetto positivo potrebbe essere quello di aver trovato – finalmente – una ragione più che valida ad incentivare ed effettivamente mettere in opera una possibilità interessante, e certamente accessibile da punto di vista tecnologico, ma ancora troppo poco sfruttata: il telelavoro (o lavoro dal domicilio). In Italia, infatti, è ancora abitudine troppo poco diffusa lo Smart Working, che pure ha trovato la sua regolamentazione nella legge n. 81/2017 , nonostante l’infrastruttura tecnologica presente, soprattutto nelle regioni che attualmente si trovano al centro dell’emergenza coronavirus, sia altamente sviluppata.
 
Cosa è possibile fare per contenere la diffusione del virus
Seppure sia superfluo ricordarlo, innanzi tutto è necessario seguire con scrupolo le indicazioni fornite dalle autorità sanitarie.
Calandosi nel concreto delle attività lavorative aziendali e professionali, potrebbe rivelarsi utile e fattibile, senza che da ciò discenda un impatto troppo forte sull’attività produttiva:

  1. limitare i contatti personali e gli spostamenti, preferendo quindi, ad esempio, teleconferenze o video conferenze in luogo di meeting;
  2. incentivare il lavoro domiciliare, predisponendo (o, più spesso, utilizzando attivamente) gli strumenti di telelavoro. Tutti i principali software gestionali sono ormai strutturati “on cloud” o quanto meno con possibilità di accesso da remoto, e l’avvento dell’obbligo di fatturazione elettronica ha, da questo punto di vista, aumentato di molto la possibilità di lavorare senza che sia necessaria la presenza fisica in studio. È buona norma, inoltre, che tutta la documentazione sia il più possibile de-materializzata, e salvata in modo tale da poter essere accessibile tramite rete internet (su cloud, oppure su dischi virtuali). Tutto questo, tuttavia, deve confrontarsi con le stringenti norme in materia di sicurezza ed inviolabilità dei dati, aspetto che spesso disincentiva le procedure di dematerializzazione, spesso troppo complesse e farraginose;
  3. cercare di evitare momenti di eccessiva concentrazione in luoghi chiusi, optando ad esempio per la formazione a distanza in luogo della formazione in aula.

 
L’appello dei Commercialisti per la sospensione degli adempimenti
Occorre rilevare che i primi provvedimenti assunti d’urgenza dal Governo, purtroppo, hanno dimenticato gli aspetti legati al fisco. In un panorama di scadenze sempre più pressanti, infatti, la necessità di imporre restrizioni agli spostamenti (o addirittura di chiudere le attività) non può prescindere dalla sospensione degli adempimenti, che non possono essere rispettati se l’attività delle aziende, o dei professionisti, o dello staff dei professionisti stessi debba essere interrotta per causa di forza maggiore.
A tal proposito il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti contabili ha rivolto un appello al MEF, richiedendo l’assunzione di un provvedimento d’urgenza, a norma dell’art. 9 dello Statuto del Contribuente, posto che nelle aree in cui sono state applicate misure di quarantena contro il Coronavirus non è possibile adempiere tempestivamente ai diversi obblighi imposti in materia fiscale.
Appello di pari tenore è stato proposto dall’Associazione Italiana Dottori Commercialisti (AIDC), correttamente richiamando l’attenzione sul fatto che ad essere interessati non solo gli imprenditori ma anche i loro dipendenti e collaboratori.
 
Conclusioni
In conclusione, se il Paese, o un’area del Paese, è costretta a fermarsi, allo stesso modo il Fisco dovrà necessariamente attendere.
Questo nell’immediato, in attesa che passi la tempesta e si possa passare alla conta dei danni, che anche solo restando in ambito economico si preannunciano pesantissimi tra produzioni sospese, spese sanitarie, spese legate agli ammortizzatori sociali e danni incalcolabili all’immagine del Paese, aspetto che con ogni probabilità andrà a colpire pesantemente uno dei settori chiave nazionali, ovvero il turismo, forse non solo nel breve termine.
 
 
Tratto da My Solution
Bientina lì, 24/02/2020
Studio Mattonai

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